Franco126 racconta la sua vita, che è quella di tutti

Abbiamo parlato con il cantautore romano del suo ultimo disco, “Multisala”, prodotto da Ceri. 10 storie tutte diverse che aprono il sipario sul vissuto del 28enne. E parlano a chi, come lui, ha paura di crescere, di dimenticare, o ricorda un amore. Con nostalgia, ma anche la voglia di guardare oltre

Franco126 - foto di Beatrice Chima
Franco126 - foto di Beatrice Chima

Dopo il successo di Stanza Singola, è stato inevitabile crearsi delle aspettative su quello che sarebbe arrivato dopo. In questi casi, o fai qualcosa di totalmente diverso (con il rischio di lasciare insoddisfatti i fan o il colpo di stupire tutti), o rimani quello di prima. Resti, quindi, te stesso e non adotti strategie di alcun tipo. Semplicemente continui sulla tua strada nella maniera più naturale che riesci, senza fare grandi passi in avanti, ma nemmeno retrocedere. Il che non significa necessariamente andare sul sicuro: in gioco ci si mette sempre, soprattutto con la musica, soprattutto quando l’hype è alto.

"Un po’ di pressione la sentivamo tutti. Ma quando trovi l’empatia giusta tutto diventa più semplice", scrive Stefano Ceri sul suo IG, in didascalia a una raccolta di foto che evoca l’atmosfera di quei giorni. È lui che ha prodotto Multisala, il secondo disco solista di Franco126 per Bomba dischi/Island.

Franco126 - foto di Beatrice Chima
Franco126 - foto di Beatrice Chima

La prosecuzione perfetta di Stanza Singola. Un lavoro con cui il cantautore romano ha continuato e completato il suo modo di scrivere, di raccontare e di raccontarsi. Ed è rimasto sé stesso. Con la stessa malinconia e la stessa nostalgia di sempre, dando spazio anche a toni più felici. Cresciuto a pane e Califano, con la musica di De Gregori, Renato Zero, Baglioni, e Noyz Narcos e il TruceKlan, la voce di Franco è una calamita che trascina l’ascoltatore in dieci storie diverse.

Multisala si snoda come fosse un copione cinematografico: si parla d’amore, di amicizia, del tempo che passa, della paura di crescere, di lasciarsi, di dimenticare. Dieci racconti, ognuno caratterizzato da un sound differente, spinto dalle chitarre di Giorgio Poi, Colombre, i cori di Frah Quintale, il fischio di Gianni Bismark, la produzione di Ceri e il lavoro di altri musicisti: ci sono dei pezzi con echi di bossa nova (come Simone e Vestito a fiori), il funk di Nessun Perché, il richiamo agli anni ’80 di Ladri di Sogni, la ballad senza tempo di Blue Jeans (in collaborazione di Calcutta).

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Un disco ricco: dieci tracce che raccontano episodi e storie vissute attraverso i tuoi occhi. Ce n’è una che avresti preferito non vivere o vedere?

Se l’ho raccontata nella mia musica vuol dire che ho tirato fuori qualcosa di buono anche da quella. Sono contento di tutte le storie che ho visto e ho vissuto, anche quando erano "brutte": sono state sicuramente l’occasione per imparare qualcosa. Sono contento di tutto quanto.

Tu che sei "un lentone" e che ti prendi tutto il tuo tempo per scrivere (anche sei ore per scarabocchiare due parole): quanto ci hai messo per completare Multisala?

Ho cominciato nell’estate del 2019 e terminato alla fine dell’estate 2020. Dopodiché ci sono state le revisioni e delle parti da definire. Una genesi molto lunga. Alcuni pezzi erano pronti anche prima, come Blue Jeans e alcune strofe di Simone. Le avevo scritte durante la stesura di Stanza Singola.

Copertina di Multisala - cover art di Beatrice Chima e Valerio Bulla
Copertina di Multisala - cover art di Beatrice Chima e Valerio Bulla

In copertina ci sei tu seduto, solitario, in un Multisala. È meglio guardare un film da solo o in compagnia?

Assolutamente in compagnia. Mi piace molto andare al cinema, ma non ci vado mai da solo. Cerco sempre di trovare qualcuno con cui andarci. In questo caso mi piaceva l’idea di un cinema in solitudine anche per riprendere Stanza Singola, dove c’ero sempre io, da solo, in un luogo chiuso.

In effetti il disco è la prosecuzione naturale di Stanza Singola. Che filo rosso hai mantenuto intatto?

Tra le caratteristiche che ho preservato, sicuramente la scrittura sempre molto intima e personale. In Multisala, però, mi sono cimentato anche in altri temi e toccato argomenti più generali: ho parlato di amicizia, della paura di crescere e tracciato la descrizione di una notte in Ladri di sogni.

L’ultimo film che hai visto al cinema?

Tenet di Nolan. Non ci ho capito niente.

L’ultimissimo, invece?

Essi vivono (1988) di Carpenter qualche sera fa. Ambientato in un futuro distopico: se indossi degli occhiali specifici riesci a vedere il mondo per come è realmente, cioè popolato da alieni e altre creature. Impazzisco per la fantascienza, e Carpenter è un regista che mi piace molto.

Franco126 - Foto di Beatrice Chima
Franco126 - Foto di Beatrice Chima

Io ho rivisto Non è un paese per vecchi. Tanto per citarlo e per riferirmi al tuo passato esclusivamente da rapper, ti chiedo: in Italia il rap è un paese (anche) per vecchi?

Complessivamente credo che la musica sia qualcosa cui ti appassioni quando sei giovane. Nel senso: da ragazzo la musica ti cattura e ti lascia probabilmente molto di più rispetto a quando si è più grandi. In Italia il rap viene percepito come un genere molto giovanile, da pischelli. Ma, ad esempio, in America non è così: ci sono rapper abbastanza adulti che continuano a scrivere barre e a fare bella musica.

Dipende dal contesto?

Esattamente. Si tratta soltanto di un discorso di percezione del contesto. Il rap è anche un paese per vecchi perché si può fare quella roba lì in maniera diversa, più "adulta", se vogliamo. È semplicemente un mezzo per esprimersi. Io, ad esempio, non ho abbandonato il rap e continuo a scrivere barre soprattutto nei dischi degli altri.

E dipende dal periodo storico?

Anche. Questo è uno dei pochi momenti storici in cui è possibile avventurarsi in vari generi e provare tutto senza dover necessariamente fare dei cambiamenti drastici. Se pensi a Neffa, che negli anni ’90 dall’hip hop si mise a fare musica anche r’n’b e fu percepito come un tradimento: oggi, per fortuna, c’è più libertà. Allo stato attuale è molto differente la cosa e si sono abbattute tutte le barriere di genere. La musica non ti definisce più per il tipo di persona che sei. Ai tempi eri un metallaro se ascoltavi metal e se ascoltavi hip-hop eri un b-boy. Oggi, invece, puoi permetterti di fare tutto ed è molto stimolante. Con Multisala ho fatto un disco più cantautoriale, ma continuo a fare rap.

Franco126 - Foto di Beatrice Chima
Franco126 - Foto di Beatrice Chima

Continui anche ad essere nostalgico e malinconico. Ci svelerai prima o poi l’altro lato di Franco126?

Ho tante sfaccettature, ovviamente. Mi porto più facilmente sulla direzione nostalgica e malinconica, ma in questo disco ci sono dei brani anche positivi. Ad esempio, Miopia, che ha un risvolto agrodolce, ma non è solo un pezzo triste. Ci sono aspetti e lati di me stesso che ancora non ho tirato fuori attraverso la mia musica, è vero, ma prima o poi lo farò.

Chi è Simone?

Simone è la summa di una serie di miei amici, ma ci sono anche delle caratteristiche di Federico dentro. È, in tre parole, "un tipo umano": uno spaccone, ma anche una persona molto fragile e insicura. Simone ne ha una per tutti e per tutte, però ha anche il buon senso di farsi un’autocritica e di guardare a sé stesso, alla fine dei conti. Esistono vari spiriti in Simone e mi piaceva l’idea di raccontare e parlare dell’amicizia in una maniera realistica. Quindi, nelle sue contraddizioni e nelle sue difficoltà.

"Simone prende la vita come viene". Tu, no?

No, direi di no.

Ne hai fatte di cose folli in questi (quasi) 29 anni, però.

Eccome. Prima di correggere la mia vita sui binari giusti (e sicuramente la musica mi ha aiutato moltissimo in quest’operazione) vivevo per strada, in giro, a fare casino. Da quando ho iniziato a fare questo mestiere e da quando ho bisogno di un metodo, di una routine, di programmare la mia giornata, per forza di cose la mia vita è cambiata ed è più regolare. Quando non sapevo dove sbattere la testa ne ho fatte tante di cazzate.

Franco126 - Foto di Beatrice Chima
Franco126 - Foto di Beatrice Chima

In Blue Jeans con Calcutta nazionale, dici: "Forse era un po’ meglio prima, ero un po’ meglio anche io". In cosa sei migliorato?

Oggi riesco a gestire meglio i momenti di difficoltà. Quando non sai cosa fare nella vita (quindi prima di capire che avrei potuto fare la musica come mestiere), ti senti anche un po’ vittima degli eventi e vieni sballottato da un angolo all’altro. Crescendo, questa cosa cambia e comincia ad avere più stabilità emotiva.

In cosa sei peggiorato?

Spesso, sono ancora troppo assoluto. Era così anche prima: per me o è bianco o è nero. Non è un modo di vedere le cose positivo. Crescendo, uno tende solitamente a vedere anche le sfumature. Invece, io non sempre ci riesco e su questo potrei e dovrò migliorarmi.

Nel mentre continuerai a scrivere?

Non ho mai smesso. Sto scrivendo e collaborando con altri. Spero di tornare a suonare live il prima possibile, anche prima del 5 novembre 2021 al Mediolanum Forum di Assago (Milano) e della data di Roma, il 10 novembre 2021. Sarebbe bello quest’estate, magari, ma vedremo come si svilupperà la situazione. Mi manca davvero tanto quella dimensione magica.

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L'articolo Franco126 racconta la sua vita, che è quella di tutti di Claudia Mazziotta è apparso su Rockit.it il 2021-04-23 12:30:00

Tag: album

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