Riccardo Sinigallia - È un momento di grande felicità

Dal nuovo album in poi Riccardo Sinigallia sta vivendo un momento di particolare soddisfazione: ce lo racconta in quest'intervista.

Riccardo Sinigallia (foto di Fabio Lovino)
Riccardo Sinigallia (foto di Fabio Lovino)

Un nuovo album, un film biografico, una colonna sonora e molto altro: è un momento di particolare soddisfazione per Riccardo Sinigallia, che il 25 maggio è stato tra i protagonisti del MI AMI Festival con un concerto molto intenso, e ce lo racconta in questa intervista.

Pochi giorni fa sei stato tra gli headliner del MI AMI, che esperienza è stata?
È sempre bello: è la seconda volta che vengo, quindi, a distanza di quattro anni, l’unica preoccupazione era quella anagrafica (ride ndr). Mi sentivo un pochino avanti rispetto all’utenza media, però poi tutto sommato capisco le ragioni per cui potevo essere incluso in un festival così. Secondo me, per l’attenzione del MI AMI ai linguaggi della musica italiana contemporanea, diventa anche motivo di gratificazione per tutto il lavoro che ho fatto, ormai dai primi anni novanta, anche se ho ricevuto queste piccole gratificazioni molti anni dopo. Ho avuto dei problemi tecnici quindi me la sono vissuta un po’ male, per un errore nostro, interno, però alla fine devo dire che siamo stati bravi, abbiamo spaccato e il pubblico è stato fantastico.

Sul palco con te c’era come sempre la tua compagna Laura Arzilli, e stavolta anche tua figlia: quanto conta per te la famiglia? Quanto coinvolgerla in ciò che fai?
Ma sai, ci siamo trovati da giovani rocker perduti degli anni novanta a innamorarci, fidanzarci e fare due figli, quindi è tutto molto naturale. Viviamo in una casa piena di musica tutti i giorni, ed essendo venuti entrambi i figli con noi sul palco quando erano nella pancia di Laura è stato molto naturale farli anche salire dopo, ed è una roba che ci diverte, anche perché non sempre possiamo lasciarli a casa, infatti ce li portiamo. Poi abbiamo scoperto questo talento di Lori che ama tantissimo ballare e non ha timore di farlo in pubblico, quindi abbiamo detto “perché no?”. C’era questo momento di passaggio un po’ disco music con “Dudù” -che tra l’altro parla anche di ballo come forma di espressione personale importante- e quindi lei che studia danza subito si è precipitata e ha detto “ballo io!” (ride ndr).

Riccardo Sinigallia con la figlia Lori al MI AMI (foto di Francesca Sara Cauli)

Dopo la pubblicazione del tuo ultimo album “Ciao Cuore” sono successe molte cose, partiamo dal film biografico “Backliner” che ti racconta: come è nato? Che sensazione ti dà l’idea che ci sia un film che parla di te?
Guarda, all’inizio ero sulla difensiva: la mia storia musicale è abbastanza delicata, fragile, perché nonostante siano tanti anni che faccio questo lavoro e abbia fatto delle cose anche probabilmente significative -nell’ambito della canzone italiana anche ufficiale se vuoi-, mi sento sempre un po’ orfano di una considerazione chiara su quello che ho fatto, quindi quando è uscito fuori questo lavoro io ero preoccupato perché pensavo “ma chi cazzo è che fa un documentario su Sinigallia?”, essendo anche ancora in vita (ride ndr). Ero molto preoccupato devo dire, sinceramente. E infatti l’ho voluto vedere molte volte, ho anche chiesto a Fabio Lovino (regista del film ndr) di stringerlo molto, di sintetizzarlo perché era un po’ lungo. Poi quando ha finito e l'ho visto per me è stato un regalo pazzesco, quasi commovente da parte di un amico che poi è un fotografo importante che poteva fare un documentario su chi voleva –tant’è che ne sta facendo uno su Marco Bellocchio, per dire- è stato un regalo incredibile. Tutto sommato è su di me ma è anche su un’epoca, forse anche sulla linea che separa tutto ciò che in questi ultimi vent’anni è sbalzato in superficie e quello che invece è rimasto un po’ sotto.

Poi, all'inizio di aprile è uscito "DNA", il nuovo album dei Deproducers, un altro progetto in cui collabori da tempo.
È il terzo capitolo di una specie di collana che abbiamo sempre avuto idea di portare avanti, sin dal primo disco che era “Planetario”: quattro musicisti (con lui Gianni Maroccolo, Max Casacci e Vittorio Cosma ndr) già all’epoca al giro di boa diciamo, in età matura, hanno pensato di sposare questa idea, anche per cambiare un po’ prospettiva rispetto ai soliti lavori che si fanno con la musica, cioè le canzoni, i dischi, un po’ come si faceva negli anni settanta che tutti noi, loro ancora più di me essendo più vecchi di me (ride ndr) hanno conosciuto in prima persona. E quindi io mi sono lasciato trasportare da questo strano ensamble di quattro persone molto diverse fra loro –e infatti non privo di momenti critici e di conflitti, abbastanza divertenti tra l’altro- ed è un modo per fare musica in un’altra maniera che mi fa uscire dalla mia ormai quasi ossessiva ricerca della canzone definitiva, e anche imparare molte cose perché il fatto di abbinare questi album, questi spettacoli alla scienza e a uno scienziato che ci porta in mondi da noi conosciuti solo superficialmente è un’occasione per apprendere in modo molto stimolante qualcosa. Credo che questo sia anche il motivo per cui le persone vengono numerose ad ascoltarci quando suoniamo.

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Hai anche composto la colonna sonora di “Lo spietato”, il nuovo film di Renato De Maria: come nasce una soundtrack, da dove parti per scrivere?
Colonne sonore ne ho fatte e ogni volta è diverso: con Renato ho un rapporto ormai quasi di parentela, perché è il quarto film che faccio con lui, e quindi non ci dobbiamo dire niente, lui mi dà delle indicazioni ma siamo già in modalità macro, nel senso che ci lasciamo talmente bene che ci dobbiamo dire poche cose. Poi dopo entriamo nel merito di ogni scena per lavorare sul film, ma non è che dobbiamo prenderla troppo larga, siamo tutti e due molto consapevoli di che cosa è l’altro e che cosa può dare, quindi mi trovo molto bene. Poi lui è molto appassionato di musica, collezionista e intenditore, e dunque è un piacere lavorarci insieme. Invece, altre volte, è chiaro che c’è tutta una danza iniziale di conoscenza reciproca tra me e il regista, di avvicinamenti per raggiungere la soddisfazione di entrambi. Delle volte è più facile, delle volte è più complesso, io comunque di base comincio a lavorare a una colonna sonora quando capisco che ho la possibilità di esprimere le mie coordinate sonore e drammaturgiche: se vedo che mi si chiede qualcosa di eccessivamente diverso da quello che è più o meno il mio universo musicale evito di farlo.

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Con te non si riesce a dividere la persona dal personaggio, la tua sincerità viene fuori fortissima: nel tuo percorso artistico è stato più un limite o un vantaggio?
Entrambe le cose, come spesso accade: secondo me è una ricerca, è un qualcosa che tu hai da sempre dentro di te forse per carattere e quando cominci a fare il cantante, tra virgolette, tenti di torturare un po’. La questione della sincerità viene torturata dalla questione dell’esposizione, perché tu sei alla ricerca di conferme su te stesso da parte degli altri e di te stesso, e rischi di perdere a volte il filo di ciò che sei realmente. A un certo punto io ho avuto la netta sensazione che l’unica cosa che veramente mi interessava era quella di riuscire a fare questa attività sinceramente, e quindi l’ho scelta anche come andatura, nella vita, perché non credo in un’altra possibilità, magari mi sbaglio. Ovviamente non sempre ci riesco, e comunque la sincerità non è la verità, però senz’altro applico una specie di setaccio abbastanza stretto su ciò che pubblico, su ciò che dico, su come mi espongo: è il setaccio della somiglianza quantomeno, per questo le cose che faccio poi le riascolto dopo tanti anni e, per quanto riguarda la mia discografia personale, sono sempre molto coinvolto in modo positivo, anche con tenerezza se vuoi delle volte, però non rinnego mai una cosa che ho fatto perché è esattamente la corrispondenza di ciò che era nel momento in cui l’ho fatta. E questo funziona sempre. Quindi è un limite anche, certo, perché magari delle volte mi precludo delle possibilità, oppure qualcuno può pensare che io non sia altrettanto smart di un altro, però non mi interessa.

Hai lavorato con tanti artisti, tra collaborazioni e produzioni: qual è il sogno ancora da realizzare dal punto di vista professionale? Con chi ti piacerebbe condividere una canzone?
La mia preoccupazione/sogno è sempre quella di sviluppare, essendo molto pigro, le mie conoscenze musicali e letterarie, non tanto di lavorare con, anche se ovviamente ci sono tantissimi artisti con cui avrei piacere di lavorare, come De Gregori. Però non è un obiettivo, è una stima che ho per i grandi cantautori con cui sono cresciuto, De Gregori, Battiato, Paolo Conte, ma anche alcuni coetanei: mi piacerebbe tanto lavorare con Emidio Clementi un giorno, già l’abbiamo fatto ma per poco, anche con altri, ce ne sono molti con cui mi piacerebbe collaborare. Però non è un sogno, anzi, è più una preoccupazione perché poi quando c’è da fare vado subito in paranoia (ride ndr). Mentre l’idea di diventare molto più consapevole nella parte tecnica, armonica, musicale e anche con più strumenti letterari, quello mi piacerebbe tanto ma dipende anche da me, quindi lì c’è il solito conflitto: chi è causa del suo mal pianga se stesso (ride ndr).

Stai per compiere 50 anni, quell’età in cui spesso si fanno dei bilanci: com’è andata finora?
È stata molto dura, molto sofferta, e rischiando di sembrare presuntuoso rispetto a quello che ho fatto penso io debba ogni giorno fare un po’ finta di niente; però ultimamente devo dire che per una serie di contingenze, fortune, ma soprattutto per una serie di persone che amo visceralmente –perché mi hanno sostenuto negli anni senza motivo- e anche per alcuni giornalisti appassionati che mi hanno sostenuto e che di solito non lavorano in grandi testate nazionali, è un momento di soddisfazione, non lo posso negare, perché finalmente esco su un palco con molte persone che cantano le mie canzoni, le cantano con un’attenzione particolare anche rispetto ad altri concerti che vado a vedere. Penso di avere un piccolo pubblico ma gigantesco dal punto di vista del livello, dell’ascolto, della passione per la musica italiana e per la musica in generale, quindi sono molto contento, è un momento di grande felicità.

(foto di Fabio Lovino)

Cosa vedi nel futuro, tuo ma anche del nostro Paese?
Non riesco a vedere nel futuro, però penso da tanti anni ormai che il problema di cui si parla sempre poco non sia tanto amministrativo, Europa sì Europa no, flat tax, manovre, destra o sinistra, quanto di un imbarbarimento voluto dalla dittatura del mercato, di cui siamo tutti sudditi. Quando riusciremo a mettere in piedi una vera rivoluzione, profonda, interiore, personale, in tanti, nei confronti di questo schema -che è molto semplice e che detta le regole di ogni nostra scelta, detta le categorie, crea gli algoritmi-, quando riusciremo veramente a crescere come individui, ad avere una nostra opinione personale non condizionata da questa dittatura, allora credo che il mondo cambierà e sarà molto più bello per tutti, ci vuole solo un po’ di coraggio. Finché questo non accadrà possiamo solamente perdere tempo a dare del fascista a uno o del perdente a un altro, ma è una perdita di tempo, non è questo il problema.

Per quanto riguarda me, io, a parte una famiglia con cui sperimento le meraviglie del mondo, del vivere ogni giorno, ho la fortuna di avere questa grande passione che ancora resiste per la musica, per la canzone, per il suono, riesco in qualche modo a navigare in una specie di serenità autoindotta, perché poi quando esco mi rendo conto delle tensioni, delle difficoltà, soprattutto di questa parte del mondo. Per adesso mi limito a essere un testimone, abbastanza privilegiato e me ne rendo conto, ma ho lavorato anche molto duramente per avere questo privilegio che poi sono pronto anche a lasciare quando ne varrà la pena. Ecco.

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L'articolo Riccardo Sinigallia - È un momento di grande felicità di margherita g. di fiore è apparso su Rockit.it il 2019-06-06 10:00:00

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