Grey Hoodie

C’è una felpa grigia che torna come un luogo sicuro, un’abitudine, un suono. “Grey Hoodie” è il nuovo album di Pentola, producer/DJ nato in Puglia e con base a Milano, che qui costruisce il suo spazio: morbido, stratificato, organico. Un disco che suona come una camera con le luci basse e la finestra aperta sulla città: dentro ci sono i battiti spezzati della club culture, ma anche micro-movimenti jazz, tastiere calde che si insinuano tra le pieghe elettroniche. House, broken beat, UK garage, jungle, ma con un’anima analogica che rende tutto più vivo.

Ad aprire la porta è “Che fai???”, primo singolo, con il feat. di Wasabi: una domanda che si ripete come un tic, una voce che scivola su un beat UK garage nervoso, dove synth liquidi e aperture jazz si rincorrono come luci al neon. È il primo scarto ritmico di un album che vive proprio nel movimento, nel loop, nell’inciampo.

Da lì in poi si apre un viaggio in cui MPC e drum machine affiancano gli strumenti analogici: “Loop Therapy” e “Space Cyclist” sono esempi perfetti di questa doppia anima, dove il groove resta in primo piano ma si lascia attraversare da un tocco fusion, che rende ogni battito più caldo. In “Back To The Future” il jazz incontra la garage-house in una delle tracce più free del disco, mentre su “Trippin’” una voce lontana affiora e scompare, nascosta dentro un beat liquido e stanco come una notte in città.

Dentro “Grey Hoodie” al fianco di Pentola si muove un collettivo: Francesco Fisotti, Stefano De Santis, Sup Nasa, G Foxxx, Rocco Biazzi, You Nico, Mattia Galbiati, Hugo Iglesias, Stefano Nardon, Giuseppe Molinari — ognuno aggiunge una pennellata, un dettaglio, un’oscillazione. Due i featuring vocali principali: oltre a Wasabi, la voce calda e magnetica di Alijaa in “Into Something Like I Dance”, una traccia sospesa, quasi sottopelle, che rallenta tutto e invita a restarci dentro.

“Grey Hoodie” non è solo un disco da dancefloor, né semplicemente un esercizio da studio: è uno spazio abitato, un rifugio in movimento. Un disco da ascoltare come si indossa qualcosa di familiare: non per nascondersi, ma per sentirsi a casa.