"La voce del padrone": Fabio Cinti e l'estetica della musica

Fabio Cinti racconta il suo adattamento gentile a "La voce del padrone", il capolavoro del 1981 di Franco Battiato.

Fabio Cinti (foto di Piero Martinello)
Fabio Cinti (foto di Piero Martinello)

Stando alle fonti antiche, pare che Socrate fosse un gran rompiscatole: se ne andava in giro per Atene e ai poveri malcapitati che incontrava per strada iniziava a fare domande su domande, mettendo in discussione le certezze dei suoi interlocutori, fino a farli capitolare e far cambiare loro idea. È il metodo della cosiddetta arte maieutica, quella cioè dell'ostetricia, che prestata all'ambito filosofico consisteva nel far ricercare al soggetto le verità già nascoste in lui per portarle finalmente alla luce. Ecco, quando ho chiesto a Fabio Cinti quale considerazione pensa che la gente abbia di lui, la risposta è stata proprio questa: un rompiscatole. Anzi, un “rompicoglioni”, per citare con più precisione.

Io e Fabio ci siamo incontrati per la prima volta alla fine del 2013, quando l'ho intervistato in occasione dell'uscita di "Madame Ugo", un disco di cantautorato finissimo, che aveva fatto colpo anche sul mio animo profondamente popparolo. Quello che mi ero trovato davanti era un artista molto orgoglioso del suo lavoro e delle sue scelte, fiero, ma senza spocchia, di non essere caduto nel tritacarne del mainstream. D'altronde, le sue strette frequentazioni e le collaborazioni con Franco Battiato e Morgan e le sue prime prove discografiche erano sufficienti a farne un artista molto stimato. Poi il tempo è passato, e io e Fabio siamo rimasti saltuariamente in contatto, soprattutto in occasione delle sue successive pubblicazioni ("Tutto t'orna", l'EP "FQ" e "The Thin Lie"). Fino a quando, nel 2016, è uscito "Forze elastiche": Fabio mi ha tenuto come sempre aggiornato, ho ascoltato l'album, ma non mi è piaciuto, non l'ho capito, nonostante mi fosse chiaro che si trattasse di un progetto ambiziosissimo. Che fare, dirglielo o no? Sono rimasto in silenzio per alcuni mesi, fino a quando è stato lui a chiedermi notizie: a quel punto non ho potuto e non ho voluto nascondergli niente e gli ho detto la verità. Nonostante un'evidente delusione, si è aperto al confronto, ed è diventato sempre più chiaro che le nostre concezioni di musica erano destinate a non incontrarsi. Per via telematica abbiamo iniziato a parlare di bellezza, di immediatezza della musica e di gusto personale, di filosofia, di estetica, mi citava Aristotele e Kant, ma a distanza e via chat era ovvio che non saremmo venuti a capo di nulla. Abbiamo deciso allora di incontrarci di nuovo, e questa volta l'occasione è stata offerta dalla pubblicazione del suo nuovo progetto discografico, "La voce del padrone - Un adattamento gentile", ovvero una rivisitazione del capolavoro del 1981 di Franco Battiato realizzata con quartetto d'archi, pianoforte e cori. Un album che, come Cinti sottolinea, non solo ha segnato la storia della musica italiana con brani sorprendentemente pop come "Bandiera bianca", "Centro di gravità permanente" e "Cuccuruccù", ma ne ha ridefinito le regole con una nuova grammatica. Quello che lui propone, tiene a sottolineare, non è una cover, ma appunto un “adattamento”.

Vale a dire?
“La voce del padrone" è ormai un classico, e va quindi trattato come musica classica, seguendo la partitura. Si possono cambiare gli strumenti, ma la scrittura va rispettata. Se qualunque direttore d’orchestra, pianista classico, non si azzarda a cambiare neanche una singola nota delle composizioni di Bach, di Mozart ecc., perché ci si dovrebbe sentire in diritto di modificare le note di Battiato? Le canzoni hanno senso anche per quella particolare scrittura, sono state pensate con quella precisa scansione ritmica, con quella precisa cadenza vocale. Invece troppo spesso c'è disattenzione per questo aspetto. Se in una cover un musicista sceglie di modificare qualcosa, spero che lo faccia volontariamente, però prima dovrebbe dimostrare di conoscere e saper eseguire quella canzone esattamente come l'originale. Per lavorare a questo disco ho messo una grandissima attenzione anche al timing della voce, per esempio: non sono cantate a caso, è una partitura anche quella. (E per dimostrarlo dal computer fa partire una registrazione della sua versione sovrapposta all'originale di Battiato, con le parti vocali effettivamente coincidenti in tutto. Persino il timbro sembra incredibilmente lo stesso, al punto da farmi dubitare che a cantare sia davvero lui, e non Battiato in persona): no, non c'è stato nessun tentativo di imitazione e non mi sono sforzato, quello è il mio modo di cantare. Anzi, mi è stato detto che è nei miei pezzi che l'influenza di Battiato, nella voce, si fa sentire di più.

Ma approcciarsi alla musica classica è diverso che rimettere mano a un album di musica leggera: diversi sono gli intenti, diverso il contesto, diverso quello che il pubblico si aspetta di ascoltare. Ma soprattutto, che senso ha per un artista rimettere mano a un brano o a un intero disco se non ha la possibilità di farlo nel modo e nello stile che gli è più vicino?
Non serve: il fatto stesso che sia lui a farlo è sufficiente. Un artista non deve fare se stesso, basta che ci sia. Quando Carmen Consoli - che stimo e mi piace molto - ha rifatto "Stranizza d'amuri", ha 'peccato' di personalità e difettato in sensibilità: ha trasformato un pezzo scritto in 7/8 in 4/4, stravolgendo anche le cadenze… È un altro pezzo, ha preso il testo e ha scritto un’altra canzone che somiglia all’originale. Lo stesso vale per le versioni di Battisti - Panella contenute in "La Bellezza riunita": nella maggior parte non si riconoscono. (Sensibilità, parola-chiave che apre le porte a un altro concetto cardine attorno a cui ruota il lavoro di Fabio Cinti, quello di bellezza. Dopo averne accennato in chat, lo riprendiamo): bellezza e gusto personale sono due cose completamente separate. Saremmo portati a pensare che sia bello ciò che piace a molti, basandoci quindi sul senso comune, ma è vero solo in parte. La bellezza autentica deriva dalla percezione che si evolve, è quella su cui ha indagato Kant... La bellezza non può essere stabilita dal gusto personale, che è invece guidato dall'istinto. Non possiamo stabilire se una cosa è bella in base ai like su Facebook, andiamo! Ma cosa me ne frega se qualcosa ti piace o no? Perché dovrebbe interessarmi la playlist di Spotify con le canzoni che piacciono a Maria di Roma? Al massimo, mi può interessare la playlist dei brani preferiti di David Bowie, perché lui ha dimostrato di avere una certa percezione e sensibilità… È un discorso complesso, molto pericoloso, però.

Esiste quindi un concetto assoluto di bellezza?
Certo che esiste, ma non dovrei neanche arrivare a chiedermelo.

Ma in quanto assoluta, questa bellezza non dovrebbe poter essere riconosciuta da tutti?
Sì, ma solo dopo aver fatto un certo percorso: per riconoscerla bisogna aver sviluppato e affinato la giusta sensibilità, quella percezione di cui parlavo. Purtroppo siamo arrivati al punto che la cultura sembra quasi una colpa, chi è colto viene messo alla berlina: tutti possono dire tutto, anche se sono ignoranti. Siamo in un'era in cui bisogna accettare il parere di chiunque, e se non lo fai, se ti azzardi a dire che qualcuno è ignorante e non è in diritto di parlare di un certo argomento perché non lo capisce, passi per classista. Sono stanco, mi piacerebbe che la cultura tornasse a essere un bene necessario, qualcosa di normale, qualcosa che tutti avessero la voglia di coltivare.

Ma la cultura è qualcosa che si acquisisce con il tempo e con la voglia: tu hai avuto la fortuna di poterla coltivare, anche perché hai probabilmente sentito il bisogno di farlo per te stesso, ma per qualcun altro può non essere così, le priorità possono essere altre...
E questo mi spaventa, perché io non mi sento migliore per il fatto di aver voluto approfondire e studiare, non credo di aver dovuto vincere la pigrizia, né mi sento privilegiato, perché non lo sono. Per me è naturale aver voglia di conoscere.

Ammettiamo anche che sia così, allora secondo te a chi va la responsabilità di questa mancanza di voglia? Al pubblico, agli artisti o a chi dovrebbe insegnare a coltivare la cultura e la bellezza?
La responsabilità è sempre del popolo. La massa è fatta dai singoli, non esiste la società in se stessa. Se il singolo si eleva, la massa si eleva. Peppino Impastato diceva che la mafia si combatte con la bellezza, ma come vuoi che crescano i ragazzini di Scampia che al mattino aprono la finestra e si trovano davanti un casermone di cemento?

E nella musica, la responsabilità dov'è?
Credo che oggi agli artisti manchi soprattutto il coraggio. Da tempo non mi capita di ascoltare qualcosa di davvero stupefacente, di totalmente nuovo.

Questo però si inserisce nel più ampio discorso del sistema della discografia, di quello che le case discografiche chiedono e vogliono dagli artisti. È un cerchio che rischia di non chiudersi.
Può essere, ma in passato c'è stata gente come i Beatles, Elvis, David Bowie o, in Italia, Battiato stesso che ha avuto il coraggio di rischiare portando vere rivoluzioni, e hanno avuto successo. Oggi chi fa qualcosa di diverso è messo all’angolo perché non riflette gli stati d’animo di un pubblico annoiato e vuoto.

Ti lancio una provocazione: senza l'immagine androgina e aliena, Bowie sarebbe diventato la star iconica che è oggi? Non si trattava forse di espedienti per scendere a compromessi con il pubblico, stuzzicandolo con elementi diversi dalla musica? Sei sicuro che l'ascoltatore medio abbia davvero colto la rivoluzione di Bowie e non sia rimasto affascinato solo dal personaggio?
Quando Bowie si presentava in scena in un certo modo non la faceva per un calcolo strategico di marketing. Lo faceva perché tutto doveva essere così, lui era così, era quello che appariva. Sono d'accordo nel riconoscere che probabilmente la gran parte del pubblico conosce solo gli episodi più pop della sua discografia, ma alla base la sostanza c'era. Piuttosto, sono convinto di un'altra cosa: che Bowie, oltre all'intelligenza e al talento musicale, avesse anche un enorme talento nella comunicazione, che è fondamentale e che io invece non ho.

Puoi spiegarti?
Dopo "Forze elastiche", insieme a Paolo Benvegnù, Lele Battista e Leziero Rescigno, ho voluto fare un esperimento pubblicando un singolo puramente pop, "Amore occasionale". Sapevo che non avrebbe funzionato, e i fatti mi hanno dato ragione: su YouTube il video non ha nemmeno 3500 visualizzazioni e la canzone non ha sollevato il minimo interesse. Forse ho sbagliato tutto, probabilmente è semplicemente una brutta canzone: è così? 

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Succede, ma non prova niente...
Certo che succede, e sono convinto che il lavoro che abbiamo fatto è sicuramente di qualità: il problema sono io, che non sono capace di comunicare attraverso quel linguaggio. Non sono capace di allinearmi al pubblico, Non sono capace di scendere a compromessi, cosa che invece oggi sembra indispensabile. (Mi legge quindi un estratto del libro di Luca D'Ambrosio "La musica per me" (Edizioni Arcana, 2018), in cui risponde alla domanda “Come funziona la musica”: “Credo fermamente, per capirci, che Gigi D’Alessio abbia molti talenti del tutto simili a quelli di David Bowie: entrambi, in modi diversi e in ambiti diversi, hanno fatto funzionare la loro musica. […] La musica deve funzionare e il pubblico deve capire subito. E allora, la differenza tra David Bowie e Gigi D’Alessio mi viene chiara, al di là dei miei gusti: il primo ha minato le basi della sicurezza dell’ascoltatore, portandolo in un territorio scomodo e pericoloso eppure splendidamente affascinante tanto da incantarlo imponendogli senza sforzo i propri mondi e il proprio linguaggio; il secondo canta, in perfetta armonia con il suo pubblico, esattamente quello che il suo pubblico canterebbe. Che l’arte debba essere immediata, quindi, è una bugia")

Ecco, è qui, mentre ascolto, ma soprattutto guardo Fabio Cinti raccontarmi tutto questo che intravedo la spaccatura tra l'artista rompiscatole e forse un po' snob che il pubblico si immagina e il suo umanissimo bisogno di farsi comprendere, e dentro questa spaccatura ci vedo il guizzo della follia. Capisco che quella che lui chiama rabbia è in realtà profonda delusione, il sentirsi storti in un mondo che va dritto per altre vie, o viceversa.
La cultura e la conoscenza dovrebbero essere il vero scopo della vita, altrimenti per cosa viviamo? Per l'amore? Ma l'amore non è una forma di cultura? E poi la cultura andrebbe condivisa: cosa me ne faccio della conoscenza che tengo per me? Vorrei insegnare qualcosa agli altri e imparare a mia volta, ma mi accorgo che non interessa a nessuno. (E qui la spaccatura si allarga nel contrasto insanabile tra una realtà elitaria, a cui Cinti appartiene, e un'utopistica ambizione democratica della cultura. Durante il nostro incontro a Schio, dove Fabio vive da alcuni anni, lontano dalla frenesia dell'ambiente discografico milanese, di fronte alle Dolomiti, ho capito la buona fede delle sue parole e della sua musica, il suo genuino bisogno di conoscenza, testimoniato dalle centinaia di libri di letteratura, arte, stile, persino moda e fisica che riempiono le mensole e gli angoli di una casa quasi da esteta, tra profumi ricercati e innumerevoli varietà di tè ordinate sullo scaffale. Mi è diventato palese quando Fabio mi ha spiegato la meraviglia estatica che prova ad ascoltare "Ombra mai fu" di Handel interpretata da Andreas Scholl o i cori della "Passione secondo Matteo" di Bach, e sono convinto che riuscirebbe a trasferire il suo entusiasmo a molti altri se solo avessero l'occasione di sentirlo parlare. Ma ancora di più ho visto in lui la spaccatura dell'arte quando ha tirato fuori dal computer decine di inediti, alcuni dei quali potentissime bombe pop ed elettroniche, lontanissime dal cantautorato pettinato a cui ci ha abituati):
a volte penso di prendere tutto e metterlo on line gratuitamente, tanto non cambierebbe niente. Lo stesso lavoro che ho fatto per "La voce del padrone" con il quartetto d'archi mi piacerebbe farlo anche con i quattro album di Battiato successivi, "L'arca di Noè", "Orizzonti perduti", "Mondi lontanissimi" e "Fisiognomica", e mi piacerebbe anche lavorare a "L'ombrello e la macchina da cucire", e lo rifarei uguale, ma in inglese, per dimostrare quanto quel disco fosse avanti già nel 1995, anche se non ha avuto successo. Poi invece penso che sono sul viale del tramonto e che dovrei dedicarmi ad altro, forse al giardinaggio.

Non mi aspettavo di sentire tutto questo pessimismo...
È legato a un fatto puramente commerciale, perché dal punto di vista musicale sono molto soddisfatto di quello che sto facendo. Però arrivato a 40 anni vedo che non si muove niente e che le cose su cui si sceglie di puntare sono altre: anche per i live è difficilissimo, i compensi sono molto bassi. Ci sono artisti che vengono chiamati continuamente ai festival anche se i loro album non li compra nessuno, e questo mi fa pensare che ci siano delle dinamiche a cui sono estraneo: ben venga se si tratta di artisti molto bravi, ma devo dire che ogni tanto qualche dubbio mi viene. Io purtroppo non riesco a scendere a compromessi e non riesco a seguire certi giri, è l'incapacità di comunicazione di cui parlavo. Ecco perché forse sarebbe meglio concentrarsi su altre cose.

In realtà penso che tu non potrai mai lasciare del tutto la musica. Però per chiudere il discorso, se credi che la gente ti veda come un rompicoglioni, come ti piacerebbe invece essere considerato?
Con più leggerezza, come una persona da cui poter imparare qualcosa.

(foto Pancani)

Ecco, se per questo incontro con Fabio mi ero preparato un po' di domande, sulla strada del ritorno me ne sono comparse in testa almeno il doppio, alcune destinate a restare senza risposta. Ho riascoltato anche alcuni brani di "Forze elastiche", ma senza cambiare di molto opinione. Probabilmente è davvero questione di cultura e sensibilità, anche se a questo punto si tratta di capire se esista uno e un unico modo di diventare sensibili. Perché di uno stesso artista amiamo profondamente un'opera, restando indifferenti di fronte a un'altra? Quale sia poi la funzione della musica, penso che nessuno potrà mai dirlo: sta a ognuno di noi trovarlo. Non sarà che forse esiste un ordine naturale del cosmo per cui alcune cose sono e resteranno alla portata di tutti, mentre altre si sveleranno solo a chi avrà la voglia e la possibilità di andare a cercarle? D'altronde, a provarlo ci sono secoli e secoli di struggimenti di intellettuali e filosofi che lamentavano una condizione di solitudine e un senso di inadeguatezza ai propri tempi. Fabio Cinti ha però sicuramente ragione quando auspica un'apertura della cultura e il ritorno a nuova consapevolezza della sua necessità: solo così saremo tutti davvero liberi e preparati per decidere se ascoltare lo sperimentalismo di Battiato, il cantautorato di Brunori o il rap populista di Fedez. O chissà, magari nessuno di questi.

In attesa di definire il calendario dei concerti, Fabio Cinti presenterà il suo adattamento di "La voce del padrone" in quattro appuntamenti live, alcuni condivisi con il musicista e scrittore Fabio Zuffanti, in uscita con il libro "La voce del padrone: 1945 - 1982, Nascita, ascesa e consacrazione del fenomeno", che analizza la carriera di Battiato dalla nascita alla pubblicazione dell'album. Questo il calendario degli eventi confermati:

12 maggio, Milano, Santeria Paladini 8, ore 18.00 - presentazione dei due progetti (Piergiorgio Pardo - Blow Up - presenta e modera l'incontro)

13 maggio, Torino, Salone del libro, Stand Archimede, ore 11 - presentazione dei due progetti (Cosimo Morleo - presenta e modera l'incontro)

14 maggio, Bologna, Libreria Modo Infoshop, via Mascarella 24/b ore 18.00

16 maggio, Modena, Libreria Ubik, via dei Tintori 22, ore 18.00

16 giugno, Milano, Palazzina Liberty, MiAmOr Music Festival, ore 17.30 LIVE: esecuzione completa dell'adattamento de “La Voce del Padrone” per quartetto d'archi, pianoforte e voce.

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L'articolo "La voce del padrone": Fabio Cinti e l'estetica della musica di Roberto Pancani è apparso su Rockit.it il 2018-05-11 11:00:00

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