Germanò ha trovato le piramidi a Milano

L'artista romano firma il suo secondo disco, che è un omaggio a Enzo Carella e Battiato. E un po' anche alla città in cui si è trasferito, e che gli ha dato nuove prospettive

Germanò, foto Cristina Troisi
Germanò, foto Cristina Troisi

La Bomba Dischi, ormai da qualche anno, è la più importante realtà indipendente sul suolo nazionale, una label in grado di lavorare egregiamente con artisti molto differenti, dai successi di Calcutta al rap particolare de Gli Psicologi. E poi c'è Germanò. I brani di Alex sono una riuscitissima opera di archeologia musicale, una riproposizione attuale di stilemi passati, un percorso artistico complesso e, proprio per questo, non adatta a tutti i palati.

Ce ne eravamo accorti in tanti sin dall'esordio di Germanò, con Per cercare il ritmo, un lavoro a metà tra la passione per il francese e quella di Battiato, tra un’allusione alla disco music e una citazione di Carella. Ora l’autore romano è tornato con Piramidi (qui la nostra recensione), il suo secondo sforzo discografico. Ce lo siamo fatti raccontare. 

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Non deve essere facile uscire con un album in un periodo come questo…

Nessuno poteva aspettarsi questa situazione. Quel che mi preoccupa di più, però, non è non poter suonare nel breve periodo, quanto organizzare i prossimi passi. Nessuno sa quando tutto questo finirà. E nessuna può sapere come evolverà. Se non avessi fatto uscire dei brani probabilmente avrei rimandato anche io l’uscita dell’album. Ma ormai avevo intrapreso il percorso, non avrebbe avuto senso. Non sono un artista famoso come altri, probabilmente il mio disco ha bisogno di maturare un po’. Sarebbe sicuramente stato un periodo migliore per scrivere un album, piuttosto che per pubblicarlo, non ci resta che guardare il bicchiere mezzo pieno della situazione: spero che la gente abbia tempo per dedicarsi con più attenzione all’ascolto.

Che significato hanno le piramidi?

È il titolo del brano più significativo dell’album, ma non è una forma di scaramanzia. È un evidente omaggio a Enzo Carella, che ha composto un album che s’intitolava Sfinge. È una mia battaglia personale, io devo fare conoscere Carella a tutti (noi l'avevamo inserito in questa lista di autori da riscoprire, ndr). Non conta solo l’Egitto, sicuramente c’è anche molto Battiato. È un titolo con cui potevo giocare, che ha man mano acquisito nuovi significati. Io non mi sono mai approcciato alla composizione di un album come un concept, decidendo a priori quel che avrei scritto. Cerco di parlare di ciò che sento, di ciò che vedo. Ho questa ossessione per la coerenza che credo, forse, mi limiti anche un po’ a livello creativo. A lavoro concluso, quando mi trovo a dover scartare molte canzoni, solo in quel momento mi accorgo che, al di là di tutto, tra le tracce esiste un legame.

In questo disco sembri passare dal ruolo di narratore interno a quello di spettatore?

È proprio così, bravissimo. Mi sono impegnato in questa direzione. Non è stato facile mutare il mio metodo di scrittura. Metà dei pezzi non parla di me. Era da un po’ che cercavo di raccontarmi senza parlare in prima persona, nel mio piccolo, ho preso ispirazione da Lou Reed. Non mi ci posso paragonare artisticamente, ma devo per forza prendere spunto da ciò che mi piace. Lou Reed era capace di risultare sociale senza essere pesante, senza esporsi come singolo individuo, ma mettendoci del suo. Alcuni pezzi non parlano di me, eppure mi ci sento parte.

Nella prima traccia Matteo va a vivere da solo, ma con quattro coinquilini. Dobbiamo vedere un riferimento al giovane Alex emigrato a Londra o in Australia?

Magari sì, ma Matteo non è una persona sola. Le mie intenzioni erano di parlare di un Matteo diverso in ogni strofa, in ogni pezzo di canzone. Volevo fare la canzone un po’ politica, ho deciso di utilizzare proprio questo nome per giocare con le figure di Renzi e Salvini. Anzi, c’è una parte della canzone che si riferisce proprio al leader della Lega. Insomma, volevo fare un pezzo politico, senza schierarmi apertamente. Almeno, schierarmi in maniera non troppo palese rientra nella mia indole. Matteo è il politico, è il pischello che dice la bugia alla ragazza, lo studente cui la zia consiglia di scappare all’estero. Ho voluto fare un po’ il Rino Gaetano della situazione.

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A livello artistico, cosa volevi comunicare con il tuo secondo album?

Il secondo album è più difficile, ho sentito la pressione. Per arrivare a scrivere Piramidi ho scartato almeno un altro disco, canzoni che non so se pubblicherò mai. Del resto, a differenza di Per cercare il ritmo (qui la nostra prima intervista), ho avuto ascolti molto differenti, ho provato percorsi compositivi diversi. Ma non riuscivo a non tornare sempre sui miei passi, dovevo rendere conto a chi mi ha conosciuto tramite il mio primo album: è difficile trovare un’evoluzione senza rinnegare se stessi. E io non volevo rinnegare tutto. Bisogna abituare il pubblico passo per passo, cambiare tutto, tutto d’un tratto, non avrebbe avuto senso. Non che io voglia fare cose completamente diverse, ma, a mio avviso, un dettaglio può fare una grande differenza.

Sono ancora presenti retaggi della disco music, seppur meno evidenti rispetto al lavoro precedente.

A me piace l’house come la disco music più classica. L’operazione che cerco di compiere quando compongo una canzone è sempre includere le mie passioni rielaborandole secondo criteri personali. Questo perché vorrei che la mia musica fosse riconosciuta come la musica di Germanò, non come un disco di genere. Credo che Piramidi sia un album più eterogeneo del primo. In Per cercare il ritmo volevo comporre un disco “naturale”, se mi passi il termine. Avevo in mano la direzione artistica, ma è stato un processo più democratico, canonico, registrato in saletta con una band. In Piramidi le batterie sono più artificiali, trovano più spazio l’elettronica come i synt… Piramidi è stato concepito da solo al pc, l’intera produzione è opera mia, gli arrangiamenti, gli strumenti di ogni brano, all’inizio, sono stati registrati dal sottoscritto.

Da qualche anno ti sei trasferito da Roma a Milano. Come ti ha influenzato?

Io tendo a scriver quel che vedo quindi il cambio di orizzonti ha necessariamente mutato anche il mio immaginario. A Milano ho vissuto diverse esperienze che mi hanno formato artisticamente, ho scritto un brano per Emma Marone, il mio primo brano come autore e anche il mio primo grande successo. Sono arrivato nel capoluogo per ragioni lavorative, mi occupavo di pubblicità, ma la città mi ha sicuramente aiutato a bruciare delle tappe anche come musicista. Cambiare prospettiva mi ha aiutato, Milano mi ha aiutato a esercitare i sensi, quello che vedo, ma anche quello che sento, i suoni come gli odori. Credo siano dettagli che completino a fondo i testi delle mie canzoni: servono all’ascoltatore per immedesimarsi. La mia scrittura non propone delle immagini artefatte per ricercare un’estetica. Avendo questo stile compositivo è normale che il luogo in cui mi trovo influenzi le mie canzoni.

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Non sapevo di Emma Marrone, raccontaci un po’ la tua esperienza da autore...

C’è chi nasce come autore e magari non sa interpretare il nostro ruolo e viceversa. Saper scrivere solo per altri non vuol dire non saper scrivere. Ma sono due percorsi molto differenti. E magari devi scrivere per qualcuno molto più conosciuto. Non è facile proporre qualcosa che, pur arrivando a una fetta così ampia di pubblico, non risulti banale. Che funzioni non perché venda, ma perché sia capace di toccare le corde di tutti. Non è un gioco da ragazzi, la mia scrittura deriva fondamentalmente dalle mie necessità, non è facile essere impersonali.

Cosa ascolti di questi tempi?

L’ultimo di Helado Negro sicuramente: l'ho visto al Club To Club, l’esibizione non è stata bellissima, ma l’album è clamoroso. Per il resto devo essere sincero, sto recuperando tanti dischi vecchi, ascoltandoli con un’ottica diversa. Dischi che magari da giovane non puoi apprezzare. Molto folk ridondante. Ad esempio, sto riscoprendo De Andrè, un autore che non ho mai apprezzato particolarmente, con cui non sono cresciuto. In generale, ho ascoltato molto più cantautorato, e credo si sia riflettuto anche sulle canzoni. Credo sia un disco più pop e allo stesso tempo cantautoriale. Però, devo ammetterlo, più che uscite nuove ho veramente riscoperto album da “boomeroni”.

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L'articolo Germanò ha trovato le piramidi a Milano di Marco Beltramelli è apparso su Rockit.it il 2020-04-14 10:40:00

Tag: album

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